venerdì 21 dicembre 2012

Un po' di storia... Il conciliatore nell’Italia unita (prima parte)


Dal blog mediaresenzaconfini di Carlo Alberto Calcagno.
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Il sistema precedentemente delineato si resse nelle Due Sicilie sino al 1866 per poi estendersi con poche modificazioni in tutta Italia. Sul versante civilistico il codice del 1865[1] raggruppò facilmente le parti migliori di sette legislazioni. Dal punto di vista della procedura invece il compito fu più difficile specie per le obiezioni del ceto legale legato alle prassi e tradizioni di ogni foro.

Quattro codici diversi regolavano il rito civile: il Codice per lo Regno delle Due Sicilie, il Regolamento toscano del 1814, il Regolamento lombardo del 1796, il Codice Sardo del 1854 che fu esteso anche ad Umbria, Marche e province di Parma e Modena.

Nel 1860 erano tre i sistemi di conciliazione supportati dalle leggi: quello lombardo (simile a quello francese, ma di matrice asburgica) che prevedeva l’obbligatorietà del tentativo preventivo, il facoltativo preventivo appunto delle due Sicilie e quello Sardo che prevedeva un tentativo giudiziale obbligatorio per il giudice[2]. Il legislatore post-unitario combinò gli ultimi due. Si pensò in particolare che se il tentativo di conciliazione aveva dato buona  prova sotto un governo assoluto, non avrebbe potuto fare a meno di crescere e svilupparsi felicemente anche nell’Italia libera[3].

Il regio decreto sull’ordinamento giudiziario del 6 dicembre 1865 n. 2626[4] istituì pertanto il conciliatore come primo dei soggetti [5] amministranti la giustizia civile e penale (art. 1). Lo stesso primo codice di procedura civile dell’Italia unita del 1865 si apriva con la richiesta ai conciliatori di comporre le controversie, ove ne fossero richiesti, ossia con una parola di pace e con un messaggio conciliativo.

La normativa delineava un conciliatore che doveva possedere la cittadinanza italiana,  avere almeno 25 anni di età, dimorare (ovvero abitare) nel comune di svolgimento delle mansioni ed essere ivi iscritto nelle liste elettorali. Era autorità giudiziaria [6], giudice civile (e commerciale) ordinario e indipendente [7], ufficiale di polizia giudiziaria [8]. Non aveva invece giurisdizione penale. In caso di impedimento od in mancanza le sue funzioni venivano esercitate da un vice-conciliatore [9].

La durata della carica era triennale[10] e il conciliatore si trovava in ogni comune[11]; la nomina era operata dal Re su proposta del consiglio comunale[12]. A differenza degli altri organi amministranti la giustizia il conciliatore poteva svolgere contemporaneamente un’altra professione e perfino la mercatura: prestava, infatti, gratuitamente la sua attività di giustizia[13].

Il conciliatore, assistito dal segretario comunale in veste di cancelliere[14] componeva, su richiesta delle parti, le controversie; in sede non contenziosa non era qualificabile come giudice, ma rimaneva comunque un pubblico ufficiale che redigeva atti pubblici ed autentici "come un notaio"[15]. Il mediatore moderno invece non sembra rivestire  la qualifica di pubblico ufficiale.

Il conciliatore provvedeva poi a giudicare le controversie[16], ma in precedenza doveva sempre procurare di conciliarle[17]. In sede giudiziale la sua competenza per valore si determinava dalla domanda[18] a meno che l’accoglimento della eccezione del convenuto non determinasse una pronuncia per un valore superiore alle lire 100[19]. Le domande per titoli diversi[20]  non sommavano il loro valore, a differenza di quelle per lo stesso titolo.

La competenza per valore e materia era assoluta[21], quella per territorio relativa[22]: quindi se le parti si presentavano volontariamente davanti ad un conciliatore egli non poteva dichiararsi incompetente per territorio. Nondimeno il conciliatore anche se era incompetente per materia o valore poteva, se la conciliazione riusciva, riceverne processo verbale. Ma poteva al contrario respingere le parti in conciliazione volontaria preventiva.

L’azione doveva essere radicata presso il conciliatore del domicilio o della residenza del convenuto[23], ma era possibile anche l’elezione di un foro contrattuale[24] che esigeva meno formalità per le cause commerciali. Le azioni concernenti la locazione e lo sfratto dovevano essere portate davanti al conciliatore del Comune ove era posto l’immobile litigioso.

In quanto a materia[25] appartenevano alla cognizione del conciliatore le azioni personali mobiliari[26] sino a lire 30[27], non le azioni reali mobiliari[28] e la qual cosa destò vive discussioni[29]. Era competente in merito alle azioni relative a locazioni di beni immobili[30] sino a lire 30[31] e di sfratto (dal 1892), se la pigione ed il fitto della rimanente durata non superava le 100 lire[32].

Gli spettavano[33] anche le azioni per guasti e danni dati (da uomini o animali) ai fondi rustici, purché non implicassero questioni di proprietà o di possesso[34], e la domanda di rifacimento non eccedesse le lire 100. Il conciliatore poteva conoscerne anche se il danno e i guasti discendessero da reato: l’azione civile tuttavia stoppava quella penale per i reati a querela; ma se la querela fosse stata antecedente o il reato fosse andato d’ufficio, il conciliatore doveva sospendere il giudizio in attesa della sentenza penale.

Non era invece competente per le questioni attinenti alle imposte o tasse[35], ma solo quando ciò involgeva il rapporto tra suddito e Pubblica amministrazione; erano invece frequenti le cause (e le conciliazioni) per i rimborsi tra privati. Il processo davanti al conciliatore era sommario e non formale[36].

Le domande e le difese erano esposte verbalmente[37]. La citazione si faceva mediante usciere dell’Ufficio di conciliazione, con biglietto in carta libera che andava notificato al convenuto[38]. Tuttavia bastava a radicare il giudizio che le parti si presentassero davanti al conciliatore nel giorno in cui teneva udienza: non era nemmeno necessario il ministero di procuratore[39].

Le eccezioni di incompetenza assoluta erano orali sotto alle lire 50[40]. E così le difese: soltanto sopra le lire 50 si redigeva verbale d’udienza in cui si precisavano le posizioni delle parti e si dava atto che il tentativo era o non era riuscito.

Per gli atti d’istruzione probatoria c’era invece il verbale d’istruzione[41];  erano invece verbali i rinvii d’udienza. Chi presentava memorie ne sopportava anche il costo; e lo stesso dicasi degli onorari per i professionisti. Le prove erano disposte d’ufficio dal giudice se e come lo ritenesse opportuno, ci fosse o non ci fosse richiesta di parte[42].

Con la stessa sentenza che era peraltro sempre definitiva[43], il conciliatore giudicava ex aequo et bono; non si riportavano in pronuncia nemmeno le conclusioni delle parti e non era richiesta una vera e propria motivazione[44]: essenziale era soltanto il dispositivo[45]. Lo stesso appello[46] era proposto entro 10 giorni dalla notifica della sentenza[47] con dichiarazione orale al cancelliere e spesso non venivano nemmeno indicati i motivi di gravame[48]. Non era infine mai possibile un ricorso per Cassazione avverso una sentenza del conciliatore[49], ma solo avverso quella del pretore che sull’operato del conciliatore avesse giudicato.

Le sentenze del conciliatore ed i verbali di conciliazione potevano fondare l’esecuzione: il pignoramento e la consegna di beni mobili e l’esecuzione per rilascio di immobili (a seguito di sfratto): in alcuni casi non c’era nemmeno bisogno del precetto[50].

Dal 1892 le controversie circa l’esecuzione furono decise, nell’ambito della sua competenza[51], dal conciliatore nella cui giurisdizione si faceva l’esecuzione[52]. La conciliazione operava anche in questo caso perché il conciliatore non di rado cercava di convincere il creditore a ridurre il pignoramento ai limiti della discrezione. Infine si evidenzia che dal 1892 fu possibile anche avvalersi dell’istituto del gratuito patrocinio per le cause sopra le lire 50 quando si versava in stato di povertà e c’erano buone probabilità di vincere la causa: di talché se lo chiedeva il convenuto non poteva più avvalersene l’attore e viceversa[53].

Il conciliatore esercitava anche altre attribuzioni che gli erano deferite dalla legge. In particolare dirimeva, in mancanza del pretore, le contestazioni commerciali[54] sorte in tempo di fiera e mercati (art 871 Cod. comm.[55])[56] dando i provvedimenti opportuni: in sostanza cercava di conciliare le parti e se non riusciva provvedeva temporaneamente[57] e rimetteva le parti al pretore per il merito della causa.

Almeno sino al 1892[58] il conciliatore era anche giudice del lavoro[59], ed era interessante il fatto che si ritenesse competente non solo delle azioni dei singoli, ma pure delle azioni promosse da più lavoratori agrari o delle industrie nei confronti di un unico padrone per ottenere le poche lire delle mercedi del contratto d’opera: in queste controversie suo primo dovere era quello di effettuare la conciliazione[60].

La competenza lavoristica del conciliatore è assai importante dal punto di vista ideologico, visto che lo Stato in quegli anni era assolutamente astensionista: nel codice civile del 1865 l’unica figura giuridica riconducibile al contratto di lavoro era la “locazione di opere”[61], un contratto individuale fra il lavoratore ed il datore imperniato sul gioco del libero mercato.

Solo con l’istituzione dei probiviri nascono i concordati di tariffa che costituiscono il primo nucleo dei contratti collettivi. E soltanto nel 1923-1925[62] nasceranno i contratti collettivi erga omnes che però non avevano una funzione di tutela, ma di pacificazione sociale e quindi di controllo ottenuto attraverso l’uniformità delle regole contrattuali[63].

(Continua)

[1] R. d. 25 giugno 1865 n. 2358.
[2] Il codice del 1854 distingueva tra cause di procedimento verbale e cause di procedimento scritto. Per le prime valeva l’art. 57: <
Il giudice, dopo aver tentato un amichevole componimento, questo non riuscendo, provvede sommariamente sulle rispettive instanze ed eccezionij; ed il provvedimento, interlocutorio o definitivo, ha esecuzione senz’altra formalità tranne quello d’essere scritto nel registro a ciò destinato, letto alle parti, e sottoscritto da esse, dal Giudice e dal Segretario.
In caso di riuscita conciliazione il risultamento di essa, scritto in detto registro e sottoscritto come sovra, avrà lo stesso effetto della sentenza>>.
Per il procedimento scritto si applicava l’art. 59: <>.
[3] L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori e dei loro Cancellieri ed Usceri, cit. p. 9-10.
[4] Titolo I, capo I e titolo II capo I.
[5] Unitamente a pretori, tribunali civili e correzionali, tribunali di commercio, corti d’appello, corti d’assise e corte di cassazione.
[6] Non lo erano invece i giudici singoli del tribunale o della corte d’appello.
[7] Sino a che nel 1892 non si stabilì che le sentenze potevano essere appellate.
[8] Tale qualifica poteva essere esercitata se il conciliatore fosse anche sindaco o vice pretore comunale. L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori, op. cit. p. 252. In presenza di reato il conciliatore aveva la facoltà di far arrestare il colpevole e rimetterlo con apposito verbale a disposizione del pretore onde si procedesse a giudizio. L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori, op. cit. p. 128.
[9] Il quale interveniva anche nei giudizi in cui il conciliatore fosse parte in causa
[10] Art. 30 c. 2. r.d.  2626/1865.
[11] Art. 27 r.d. 2626/1865. Ed anche in ogni mandamento se il comune era diviso in più mandamenti. Per le frazioni e  le borgate la nomina avveniva tramite decreto ad hoc.
[12] Art. 29 r.d. 2626/1865. In rappresentanza dei comunisti. É principio storico, osservato da tutti i popoli ad ogni latitudine ed in ogni tempo.
[13] Le spese dell'ufficio erano invece a carico dei comuni.
[14] Art. 32 r.d. 2626/1865. L’uso risale all’istituzione imperiale di difensore civico che aveva un cancelliere (exceptor), due ufficiali ed un archivista.
[15] Nelle isole dove non esisteva alcun notaio poteva rivestire, tra l’altro, anche detta qualifica.
[16]  Art. 28 r. d.  2626/1865.
[17] V. art. 9 l. 16 giugno 1892 n. 261. Attribuzione che fu già dei Difensori di Città a partire da Arcadio ed Onorio, come abbiamo visto.
[18] V. artt. 72 e ss. C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865.
[19] Dal 1892.
[20] Ossia per diverse cause d’obbligazione.
[21] Eccepibile in qualunque stato e grado.
[22] Si poteva eccepire soltanto nelle prime difese.
[23] Solo in mancanza della dimora.
[24] Il luogo dove era stato stipulato il contratto o si doveva eseguire l’obbligazione. Tale foro era necessariamente adito quando era convenuta la Pubblica Amministrazione.
[25] Le competenze per materia principali erano indicate dall’art. 70 C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865 e dall’art. 10 l. 16 giugno 1892 n. 261.
[26]  Quando cioè il rapporto rimaneva tra le parti e non involgeva i terzi, perché in tal caso l’azione diveniva reale.
[27] Dal 1892  sino a lire 100.
[28] Ad es. la rivendica di una capra, di una gallina ecc.
[29] Non a caso il nostro codice di rito si riferisce alle causa mobiliari senza specificare.
[30] Ma anche quelle dei contratti agrari considerati locazioni e delle sublocazioni.
[31]  Dal 1892 elevato a 100.
[32] Il pretore era invece competente per lo sfratto da finita locazione.
[33] Dal 1892.
[34] Diversamente spettavano al pretore.
[35] E pure per le questioni di stato, tutela e diritti onorifici che erano di competenza del tribunale. In tali casi però poteva accadere che sia il conciliatore, sia il pretore, decidessero incidenter tantum (così anche sulla qualità ereditaria).
[36] “Davanti al conciliatore I gudizj sono spediti senza formalità”. Art. 448 c. 1  C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865.
[37] Art. 448 c. 2 C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865.
[38] L’udienza si poteva tenere anche nella stessa giornata od il giorno dopo all’interno dello stesso comune.
[39] Principio questo che è rimasto nel nostro ordinamento sino al 1995 quando si è deciso che fosse limitato alle cause da lire un milione (ora 516, 46€)
[40] La decisione spettava comunque al pretore.
[41] Sempre sopra le 50 lire.
[42] I documenti da produrre dovevano essere quasi tutti in carta da bollo o bollati: il che scoraggiava certamente il contenzioso; anche la tassa di registro degli atti prodotti doveva essere comunque corrisposta in maniera fissa.
[43] Il conciliatore non conosceva le pronunce interlocutorie tranne l’ordinanza che era comunque rarissima.
[44] La sentenza si articolava con “circostanze influenti” ossia con la narrazione dei fatti che in qualche modo potevano portare ad una certa decisione. Non era in altre parole richiesta l’esposizione dei motivi in fatto ed in diritto.
[45] Si aggiudica in tutto o in parte oppure si assolve.
[46] Che si poteva proporre solo se il valore della causa era superiore alle lire 50; al di sotto era possibile soltanto l’appello per ragioni di incompetenza, ma il termine di proponibilità era di soli 3 giorni. Per chi fosse stato condannato in contumacia e non fosse stato citato in persona propria era più interessante l’opposizione davanti allo stesso conciliatore che portava sostanzialmente ad un rifacimento del processo. Sempre davanti al conciliatore era poi possibile entro un termine di 30 giorni dalla scoperta di molteplici accadimenti (ovvero dal passaggio in giudicato della sentenza precedente a quella del Conciliatore), la domanda per rivocazione con cui si impugnava la sentenza per dolo della controparte, falsità di un documento, per il recupero di un documento decisivo, per contrarietà della sentenza ad altra precedente passata in giudicato
[47] O dalla udienza se le parti erano tutte presenti.
[48] Il pretore decideva a sua volta senza giudizio e pronuncia solenne, in assenza delle parti, con una sentenza in carta libera che veniva inviata alla cancelleria del conciliatore dove le parti potevano prenderne visione.
[49] Tale principio verrà ribadito con decreto legislativo 5 maggio 1948, n. 483.
[50] Nei 180 giorni dalla notifica della sentenza. V. art. 565 C.p.c. - r.d. 25 giugno 1865.
[51] Ciò non impediva peraltro che per soddisfare un credito di lire 80 si pignorasse un pianoforte di Lire 800; ciò che il conciliatore non poteva conoscere erano solamente le questioni di opposizione all’esecuzione per il pignoramento del pianoforte.
[52] In precedenza andavano al pretore o al tribunale per valore.
[53] Cfr. art. 20 del Regolamento 26 dicembre 1892, n. 728. Tale concetto venne peraltro ribadito dall’art. 20 c. 3 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282 ("Di regola non potrà avere luogo l'ammissione al gratuito patrocinio dell'attore e del convenuto nello stesso giudizio"). La norma è stata abrogata espressamente solo nel 2002.
[54] Sostanzialmente si trattava dei difetti degli animali, dei compensi dei mediatori ecc., insomma di tutte quelle questioni che in tempo di fiere non ammettevano dilazione.
[55] Codice di commercio del Regno d'Italia (r.d. 31 ottobre 1882, n. 1062).
[56] Questa funzione di composizione dei dissidi è antichissima: nell’Attica vi provvedevano in genere gli agoranomi, i sitofiliaci (sugli incettatori e fornai), i metonomi per i pesi e misure, i soprantendenti della piazza del mercato per il commercio marittimo. C. CANTÙ, Appendice alla Storia Universale, op. cit., p. 99
[57] Ad esempio prescrivere cauzioni, disporre sequestri ecc.
[58] L’art. 15 della l. 16 giugno 1892 n. 261 spostò, infatti, le competenze lavoristiche in capo alle giurie dei Probi viri che peraltro non vennero istituite in quell’anno, ma nel 1893. Il tentativo di conciliazione in capo a questi ultimi fu stabilito appunto dalla L. 15 giugno 1893, n. 295.
Si tenga conto che in questo periodo e fino al codice penale del 1889 il diritto di sciopero era considerato reato. E anche dopo il 1889, sostanzialmente sino allo Statuto dei lavoratori, la tolleranza penale non implicava che comunque il datore non potesse reagire contro lo sciopero, lecito o meno, con l’irrogazione delle sanzioni disciplinari e del licenziamento (Cfr. F. CARINCI - R. DE LUCA TAMAJO - P. TOSI - T. TREU, Il diritto sindacale, Utet, 1999, p. 18). Quindi ogni iniziativa di tutela dei lavoratori da parte dello Stato era considerata pioneristica.
[59] Sotto alle lire 100.
[60] Cfr. L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori, op. cit. p. 292-293.
[61] Art.1627 C.c. – r.d. 25 giugno 1865 n. 2358: ”Vi sono tre principali specie di locazione d’opera e d’industria: 1° Quella per cui le persone obbligano la propria opera all’altrui servizio; 2° Quella de’ vetturini sì per terra come per acqua, che si incaricano del trasporto delle persone e delle cose; 3° Quella degli imprenditori di opere ad appalto o cottimo”.
[62] Con i cosiddetti Accordi di Palazzo Chigi (1923) e gli Accordi di Palazzo Vidoni (1925): con questi ultimi in particolare la Confindustria riconobbe le organizzazioni sindacali fasciste.
[63] V. sul punto l’art. 54 del r.d. 1° luglio 1926 n. 1130, gli articoli 1 e 5 delle disposizioni preliminari al codice civile che sono state abrogate dal d.l.l. 23 novembre 1944, n. 369. Ricordiamo qui brevemente che i contratti collettivi si distinguono in contratti erga omnes aventi effetto per tutti (anche per i non iscritti) ed in contratti di diritto comune aventi efficacia per coloro che sono iscritti alle organizzazioni sindacali o per coloro i quali abbiano accettato implicitamente quelle condizioni contrattuali (inserendo il riferimento nella lettera di assunzione o applicando comunque il contratto).

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