Il sistema precedentemente delineato si resse nelle
Due Sicilie sino al 1866 per poi estendersi con poche modificazioni in tutta
Italia. Sul versante civilistico il codice del 1865[1] raggruppò facilmente le
parti migliori di sette legislazioni. Dal punto di vista della procedura invece
il compito fu più difficile specie per le obiezioni del ceto legale legato alle
prassi e tradizioni di ogni foro.
Quattro codici diversi regolavano il rito civile:
il Codice per lo Regno delle Due Sicilie, il Regolamento toscano del 1814, il
Regolamento lombardo del 1796, il Codice Sardo del 1854 che fu esteso anche ad
Umbria, Marche e province di Parma e Modena.
Nel 1860 erano tre i sistemi di conciliazione
supportati dalle leggi: quello lombardo (simile a quello francese, ma di
matrice asburgica) che prevedeva l’obbligatorietà del tentativo preventivo, il
facoltativo preventivo appunto delle due Sicilie e quello Sardo che prevedeva
un tentativo giudiziale obbligatorio per il giudice[2]. Il legislatore
post-unitario combinò gli ultimi due. Si pensò in particolare che se il
tentativo di conciliazione aveva dato buona
prova sotto un governo assoluto, non avrebbe potuto fare a meno di
crescere e svilupparsi felicemente anche nell’Italia libera[3].
Il regio decreto sull’ordinamento giudiziario del 6
dicembre 1865 n. 2626[4] istituì pertanto il conciliatore come primo dei
soggetti [5] amministranti la giustizia civile e penale (art. 1). Lo stesso
primo codice di procedura civile dell’Italia unita del 1865 si apriva con la
richiesta ai conciliatori di comporre le controversie, ove ne fossero
richiesti, ossia con una parola di pace e con un messaggio conciliativo.
La normativa delineava un conciliatore che doveva
possedere la cittadinanza italiana,
avere almeno 25 anni di età, dimorare (ovvero abitare) nel comune di
svolgimento delle mansioni ed essere ivi iscritto nelle liste elettorali. Era
autorità giudiziaria [6], giudice civile (e commerciale) ordinario e
indipendente [7], ufficiale di polizia giudiziaria [8]. Non aveva invece
giurisdizione penale. In caso di impedimento od in mancanza le sue funzioni
venivano esercitate da un vice-conciliatore [9].
La durata della carica era triennale[10] e il
conciliatore si trovava in ogni comune[11]; la nomina era operata dal Re su
proposta del consiglio comunale[12]. A differenza degli altri organi
amministranti la giustizia il conciliatore poteva svolgere contemporaneamente
un’altra professione e perfino la mercatura: prestava, infatti, gratuitamente
la sua attività di giustizia[13].
Il conciliatore, assistito dal segretario comunale
in veste di cancelliere[14] componeva, su richiesta delle parti, le
controversie; in sede non contenziosa non era qualificabile come giudice, ma
rimaneva comunque un pubblico ufficiale che redigeva atti pubblici ed autentici
"come un notaio"[15]. Il mediatore moderno invece non sembra
rivestire la qualifica di pubblico
ufficiale.
Il conciliatore provvedeva poi a giudicare le
controversie[16], ma in precedenza doveva sempre procurare di conciliarle[17]. In
sede giudiziale la sua competenza per valore si determinava dalla domanda[18] a
meno che l’accoglimento della eccezione del convenuto non determinasse una
pronuncia per un valore superiore alle lire 100[19]. Le domande per titoli
diversi[20] non sommavano il loro
valore, a differenza di quelle per lo stesso titolo.
La competenza per valore e materia era
assoluta[21], quella per territorio relativa[22]: quindi se le parti si
presentavano volontariamente davanti ad un conciliatore egli non poteva
dichiararsi incompetente per territorio. Nondimeno il conciliatore anche se era
incompetente per materia o valore poteva, se la conciliazione riusciva,
riceverne processo verbale. Ma poteva al contrario respingere le parti in
conciliazione volontaria preventiva.
L’azione doveva essere radicata presso il
conciliatore del domicilio o della residenza del convenuto[23], ma era
possibile anche l’elezione di un foro contrattuale[24] che esigeva meno
formalità per le cause commerciali. Le azioni concernenti la locazione e lo
sfratto dovevano essere portate davanti al conciliatore del Comune ove era
posto l’immobile litigioso.
In quanto a materia[25] appartenevano alla
cognizione del conciliatore le azioni personali mobiliari[26] sino a lire
30[27], non le azioni reali mobiliari[28] e la qual cosa destò vive
discussioni[29]. Era competente in merito alle azioni relative a locazioni di
beni immobili[30] sino a lire 30[31] e di sfratto (dal 1892), se la pigione ed
il fitto della rimanente durata non superava le 100 lire[32].
Gli spettavano[33] anche le azioni per guasti e
danni dati (da uomini o animali) ai fondi rustici, purché non implicassero
questioni di proprietà o di possesso[34], e la domanda di rifacimento non
eccedesse le lire 100. Il conciliatore poteva conoscerne anche se il danno e i
guasti discendessero da reato: l’azione civile tuttavia stoppava quella penale
per i reati a querela; ma se la querela fosse stata antecedente o il reato
fosse andato d’ufficio, il conciliatore doveva sospendere il giudizio in attesa
della sentenza penale.
Non era invece competente per le questioni
attinenti alle imposte o tasse[35], ma solo quando ciò involgeva il rapporto
tra suddito e Pubblica amministrazione; erano invece frequenti le cause (e le
conciliazioni) per i rimborsi tra privati. Il processo davanti al conciliatore
era sommario e non formale[36].
Le domande e le difese erano esposte
verbalmente[37]. La citazione si faceva mediante usciere dell’Ufficio di
conciliazione, con biglietto in carta libera che andava notificato al
convenuto[38]. Tuttavia bastava a radicare il giudizio che le parti si
presentassero davanti al conciliatore nel giorno in cui teneva udienza: non era
nemmeno necessario il ministero di procuratore[39].
Le eccezioni di incompetenza assoluta erano orali
sotto alle lire 50[40]. E così le difese: soltanto sopra le lire 50 si redigeva
verbale d’udienza in cui si precisavano le posizioni delle parti e si dava atto
che il tentativo era o non era riuscito.
Per gli atti d’istruzione probatoria c’era invece
il verbale d’istruzione[41]; erano
invece verbali i rinvii d’udienza. Chi presentava memorie ne sopportava anche
il costo; e lo stesso dicasi degli onorari per i professionisti. Le prove erano
disposte d’ufficio dal giudice se e come lo ritenesse opportuno, ci fosse o non
ci fosse richiesta di parte[42].
Con la stessa sentenza che era peraltro sempre
definitiva[43], il conciliatore giudicava ex aequo et bono; non si riportavano
in pronuncia nemmeno le conclusioni delle parti e non era richiesta una vera e
propria motivazione[44]: essenziale era soltanto il dispositivo[45]. Lo stesso
appello[46] era proposto entro 10 giorni dalla notifica della sentenza[47] con
dichiarazione orale al cancelliere e spesso non venivano nemmeno indicati i
motivi di gravame[48]. Non era infine mai possibile un ricorso per Cassazione
avverso una sentenza del conciliatore[49], ma solo avverso quella del pretore
che sull’operato del conciliatore avesse giudicato.
Le sentenze del conciliatore ed i verbali di
conciliazione potevano fondare l’esecuzione: il pignoramento e la consegna di
beni mobili e l’esecuzione per rilascio di immobili (a seguito di sfratto): in
alcuni casi non c’era nemmeno bisogno del precetto[50].
Dal 1892 le controversie circa l’esecuzione furono
decise, nell’ambito della sua competenza[51], dal conciliatore nella cui
giurisdizione si faceva l’esecuzione[52]. La conciliazione operava anche in
questo caso perché il conciliatore non di rado cercava di convincere il
creditore a ridurre il pignoramento ai limiti della discrezione. Infine si
evidenzia che dal 1892 fu possibile anche avvalersi dell’istituto del gratuito
patrocinio per le cause sopra le lire 50 quando si versava in stato di povertà
e c’erano buone probabilità di vincere la causa: di talché se lo chiedeva il
convenuto non poteva più avvalersene l’attore e viceversa[53].
Il conciliatore esercitava anche altre attribuzioni
che gli erano deferite dalla legge. In particolare dirimeva, in mancanza del
pretore, le contestazioni commerciali[54] sorte in tempo di fiera e mercati
(art 871 Cod. comm.[55])[56] dando i provvedimenti opportuni: in sostanza
cercava di conciliare le parti e se non riusciva provvedeva temporaneamente[57]
e rimetteva le parti al pretore per il merito della causa.
Almeno sino al 1892[58] il conciliatore era anche
giudice del lavoro[59], ed era interessante il fatto che si ritenesse
competente non solo delle azioni dei singoli, ma pure delle azioni promosse da
più lavoratori agrari o delle industrie nei confronti di un unico padrone per
ottenere le poche lire delle mercedi del contratto d’opera: in queste
controversie suo primo dovere era quello di effettuare la conciliazione[60].
La competenza lavoristica del conciliatore è assai
importante dal punto di vista ideologico, visto che lo Stato in quegli anni era
assolutamente astensionista: nel codice civile del 1865 l’unica figura
giuridica riconducibile al contratto di lavoro era la “locazione di opere”[61],
un contratto individuale fra il lavoratore ed il datore imperniato sul gioco
del libero mercato.
Solo con l’istituzione dei probiviri nascono i
concordati di tariffa che costituiscono il primo nucleo dei contratti
collettivi. E soltanto nel 1923-1925[62] nasceranno i contratti collettivi erga
omnes che però non avevano una funzione di tutela, ma di pacificazione sociale
e quindi di controllo ottenuto attraverso l’uniformità delle regole
contrattuali[63].
(Continua)
[1] R. d. 25 giugno 1865 n. 2358.
[2] Il codice del 1854 distingueva tra cause di procedimento verbale e
cause di procedimento scritto. Per le prime valeva l’art. 57: <
Il giudice, dopo aver tentato un amichevole componimento, questo non
riuscendo, provvede sommariamente sulle rispettive instanze ed eccezionij; ed
il provvedimento, interlocutorio o definitivo, ha esecuzione senz’altra
formalità tranne quello d’essere scritto nel registro a ciò destinato, letto
alle parti, e sottoscritto da esse, dal Giudice e dal Segretario.
In caso di riuscita conciliazione il risultamento di essa, scritto in
detto registro e sottoscritto come sovra, avrà lo stesso effetto della
sentenza>>.
Per il procedimento scritto si applicava l’art. 59: <>.
[3] L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori e
dei loro Cancellieri ed Usceri, cit. p. 9-10.
[4] Titolo I, capo I e titolo II capo I.
[5] Unitamente a pretori, tribunali civili e correzionali, tribunali
di commercio, corti d’appello, corti d’assise e corte di cassazione.
[6] Non lo erano invece i giudici singoli del tribunale o della corte
d’appello.
[7] Sino a che nel 1892 non si stabilì che le sentenze potevano essere
appellate.
[8] Tale qualifica poteva essere esercitata se il conciliatore fosse
anche sindaco o vice pretore comunale. L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei
Giudici Conciliatori, op. cit. p. 252. In presenza di reato il conciliatore
aveva la facoltà di far arrestare il colpevole e rimetterlo con apposito
verbale a disposizione del pretore onde si procedesse a giudizio. L. SCAMUZZI,
Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori, op. cit. p. 128.
[9] Il quale interveniva anche nei giudizi in cui il conciliatore
fosse parte in causa
[10] Art. 30 c. 2. r.d.
2626/1865.
[11] Art. 27 r.d. 2626/1865. Ed anche in ogni mandamento se il comune
era diviso in più mandamenti. Per le frazioni e
le borgate la nomina avveniva tramite decreto ad hoc.
[12] Art. 29 r.d. 2626/1865. In rappresentanza dei comunisti. É
principio storico, osservato da tutti i popoli ad ogni latitudine ed in ogni
tempo.
[13] Le spese dell'ufficio erano invece a carico dei comuni.
[14] Art. 32 r.d. 2626/1865. L’uso risale all’istituzione imperiale di
difensore civico che aveva un cancelliere (exceptor), due ufficiali ed un
archivista.
[15] Nelle isole dove non esisteva alcun notaio poteva rivestire, tra
l’altro, anche detta qualifica.
[16] Art. 28 r. d. 2626/1865.
[17] V. art. 9 l. 16 giugno 1892 n. 261. Attribuzione che fu già dei
Difensori di Città a partire da Arcadio ed Onorio, come abbiamo visto.
[18] V. artt. 72 e ss. C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865.
[19] Dal 1892.
[20] Ossia per diverse cause d’obbligazione.
[21] Eccepibile in qualunque stato e grado.
[22] Si poteva eccepire soltanto nelle prime difese.
[23] Solo in mancanza della dimora.
[24] Il luogo dove era stato stipulato il contratto o si doveva
eseguire l’obbligazione. Tale foro era necessariamente adito quando era
convenuta la Pubblica Amministrazione.
[25] Le competenze per materia principali erano indicate dall’art. 70
C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865 e dall’art. 10 l. 16 giugno 1892 n. 261.
[26] Quando cioè il rapporto
rimaneva tra le parti e non involgeva i terzi, perché in tal caso l’azione
diveniva reale.
[27] Dal 1892 sino a lire 100.
[28] Ad es. la rivendica di una capra, di una gallina ecc.
[29] Non a caso il nostro codice di rito si riferisce alle causa
mobiliari senza specificare.
[30] Ma anche quelle dei contratti agrari considerati locazioni e
delle sublocazioni.
[31] Dal 1892 elevato a 100.
[32] Il pretore era invece competente per lo sfratto da finita
locazione.
[33] Dal 1892.
[34] Diversamente spettavano al pretore.
[35] E pure per le questioni di stato, tutela e diritti onorifici che
erano di competenza del tribunale. In tali casi però poteva accadere che sia il
conciliatore, sia il pretore, decidessero incidenter tantum (così anche sulla
qualità ereditaria).
[36] “Davanti al conciliatore I gudizj sono spediti senza formalità”.
Art. 448 c. 1 C.p.c. – r.d. 25 giugno
1865.
[37] Art. 448 c. 2 C.p.c. – r.d. 25 giugno 1865.
[38] L’udienza si poteva tenere anche nella stessa giornata od il
giorno dopo all’interno dello stesso comune.
[39] Principio questo che è rimasto nel nostro ordinamento sino al
1995 quando si è deciso che fosse limitato alle cause da lire un milione (ora
516, 46€)
[40] La decisione spettava comunque al pretore.
[41] Sempre sopra le 50 lire.
[42] I documenti da produrre dovevano essere quasi tutti in carta da
bollo o bollati: il che scoraggiava certamente il contenzioso; anche la tassa
di registro degli atti prodotti doveva essere comunque corrisposta in maniera
fissa.
[43] Il conciliatore non conosceva le pronunce interlocutorie tranne
l’ordinanza che era comunque rarissima.
[44] La sentenza si articolava con “circostanze influenti” ossia con
la narrazione dei fatti che in qualche modo potevano portare ad una certa
decisione. Non era in altre parole richiesta l’esposizione dei motivi in fatto
ed in diritto.
[45] Si aggiudica in tutto o in parte oppure si assolve.
[46] Che si poteva proporre solo se il valore della causa era
superiore alle lire 50; al di sotto era possibile soltanto l’appello per
ragioni di incompetenza, ma il termine di proponibilità era di soli 3 giorni.
Per chi fosse stato condannato in contumacia e non fosse stato citato in
persona propria era più interessante l’opposizione davanti allo stesso
conciliatore che portava sostanzialmente ad un rifacimento del processo. Sempre
davanti al conciliatore era poi possibile entro un termine di 30 giorni dalla
scoperta di molteplici accadimenti (ovvero dal passaggio in giudicato della
sentenza precedente a quella del Conciliatore), la domanda per rivocazione con
cui si impugnava la sentenza per dolo della controparte, falsità di un
documento, per il recupero di un documento decisivo, per contrarietà della
sentenza ad altra precedente passata in giudicato
[47] O dalla udienza se le parti erano tutte presenti.
[48] Il pretore decideva a sua volta senza giudizio e pronuncia
solenne, in assenza delle parti, con una sentenza in carta libera che veniva
inviata alla cancelleria del conciliatore dove le parti potevano prenderne
visione.
[49] Tale principio verrà ribadito con decreto legislativo 5 maggio
1948, n. 483.
[50] Nei 180 giorni dalla notifica della sentenza. V. art. 565 C.p.c.
- r.d. 25 giugno 1865.
[51] Ciò non impediva peraltro che per soddisfare un credito di lire
80 si pignorasse un pianoforte di Lire 800; ciò che il conciliatore non poteva
conoscere erano solamente le questioni di opposizione all’esecuzione per il
pignoramento del pianoforte.
[52] In precedenza andavano al pretore o al tribunale per valore.
[53] Cfr. art. 20 del Regolamento 26 dicembre 1892, n. 728. Tale
concetto venne peraltro ribadito dall’art. 20 c. 3 del regio decreto 30
dicembre 1923, n. 3282 ("Di regola non potrà avere luogo l'ammissione al
gratuito patrocinio dell'attore e del convenuto nello stesso giudizio").
La norma è stata abrogata espressamente solo nel 2002.
[54] Sostanzialmente si trattava dei difetti degli animali, dei
compensi dei mediatori ecc., insomma di tutte quelle questioni che in tempo di
fiere non ammettevano dilazione.
[55] Codice di commercio del Regno d'Italia (r.d. 31 ottobre 1882, n.
1062).
[56] Questa funzione di composizione dei dissidi è antichissima:
nell’Attica vi provvedevano in genere gli agoranomi, i sitofiliaci (sugli
incettatori e fornai), i metonomi per i pesi e misure, i soprantendenti della
piazza del mercato per il commercio marittimo. C. CANTÙ, Appendice alla Storia
Universale, op. cit., p. 99
[57] Ad esempio prescrivere cauzioni, disporre sequestri ecc.
[58] L’art. 15 della l. 16 giugno 1892 n. 261 spostò, infatti, le
competenze lavoristiche in capo alle giurie dei Probi viri che peraltro non vennero
istituite in quell’anno, ma nel 1893. Il tentativo di conciliazione in capo a
questi ultimi fu stabilito appunto dalla L. 15 giugno 1893, n. 295.
Si tenga conto che in questo periodo e fino al codice penale del 1889
il diritto di sciopero era considerato reato. E anche dopo il 1889,
sostanzialmente sino allo Statuto dei lavoratori, la tolleranza penale non
implicava che comunque il datore non potesse reagire contro lo sciopero, lecito
o meno, con l’irrogazione delle sanzioni disciplinari e del licenziamento (Cfr.
F. CARINCI - R. DE LUCA TAMAJO - P. TOSI - T. TREU, Il diritto sindacale, Utet,
1999, p. 18). Quindi ogni iniziativa di tutela dei lavoratori da parte dello
Stato era considerata pioneristica.
[59] Sotto alle lire 100.
[60] Cfr. L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici
Conciliatori, op. cit. p. 292-293.
[61] Art.1627 C.c. – r.d. 25 giugno 1865 n. 2358: ”Vi sono tre
principali specie di locazione d’opera e d’industria: 1° Quella per cui le
persone obbligano la propria opera all’altrui servizio; 2° Quella de’ vetturini
sì per terra come per acqua, che si incaricano del trasporto delle persone e
delle cose; 3° Quella degli imprenditori di opere ad appalto o cottimo”.
[62] Con i cosiddetti Accordi di Palazzo Chigi (1923) e gli Accordi di
Palazzo Vidoni (1925): con questi ultimi in particolare la Confindustria
riconobbe le organizzazioni sindacali fasciste.
[63] V. sul punto l’art. 54 del r.d. 1° luglio 1926 n. 1130, gli
articoli 1 e 5 delle disposizioni preliminari al codice civile che sono state
abrogate dal d.l.l. 23 novembre 1944, n. 369. Ricordiamo qui brevemente che i
contratti collettivi si distinguono in contratti erga omnes aventi effetto per
tutti (anche per i non iscritti) ed in contratti di diritto comune aventi
efficacia per coloro che sono iscritti alle organizzazioni sindacali o per
coloro i quali abbiano accettato implicitamente quelle condizioni contrattuali
(inserendo il riferimento nella lettera di assunzione o applicando comunque il
contratto).
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