giovedì 14 novembre 2013

"Il mio domani" e gli aspetti etici del ruolo del formatore

Il mio domani, regia di Marina Spada, Italia, 2011, Iris Film, con Claudia Gerini, Raffaele Pisu (link).

E' un bel film con una Claudia Gerini diversa dal solito, ben lontana dai panni dalla Jessica dei film di "verdoniana memoria" e che, interpretando il ruolo di una formatrice aziendale, parla di cambiamento pur non praticandolo.


Personaggio che si chiude dentro se stesso e si trincera dietro una vita sempre uguale, fatta di rancori passati e una situazione sentimentale non stabile. Una vita fatta di "cambiare si deve, anzi si potrebbe, ma forse è meglio di no". Ma questo cambiamento rapido, inaspettato, la investe in pieno dopo la morte del padre, evento che fa cadere questa "impalcatura" di rancori repressi, di polvere buttata sotto al tappeto "per non pensarci più". 

Cambiamento anche facilitato (o favorito?) dall'acquisizione (o rinnovata consapevolezza?) di una nuova prospettiva riguardo il suo ruolo. Infatti in una delle scene più forti del film, uno dei partecipanti ai suoi corsi, mostrandogli una lettera ricevuta dall'azienda - quella stessa azienda che lo portava in aula per un corso, le dice: “Qui da noi la 'tabula rasa' come la chiama lei la stanno facendo già da un po’ di tempo e senza tanto rumore… la chiamano “exit option”… Capisco che questo è il suo modo di guadagnarsi da vivere ma è troppo intelligente per non sapere che in fin dei conti il suo lavoro è semplicemente dare una spruzzata di Chanel per coprire la puzza di merda...".

Ecco, cogliendo al volo questo spunto, ritengo che a mio avviso questo film debba far riflettere il formatore sugli aspetti etici legati al proprio ruolo ed al proprio senso sul "posto occupato nel mondo" in un contesto professionale sempre più frenetico e orientato ad un cambiamento costante e continuo, che a volte, purtroppo, non fa prigionieri. 

In tale contesto, come motivare le persone in un quadro organizzativo spesso demotivante? Il film non prende posizione, ovviamente, anche perché inserisce la domanda in un contesto più generale, di crisi “esistenziale” della protagonista, ma chi guarda il film con l’occhio di chi sta in aula non può non "sentire" dentro di sé questa domanda, che riecheggia tra le pieghe di alcuni silenzi del personaggio, per provare a dare una sua personale risposta...

Attenzione, con questo non intendo dire che il film dia una visione negativa del ruolo del formatore, ma è opportuno che il formatore, vedendo questo film e parlandone, rifletta sugli aspetti etici legati al proprio “lavoro" (termine che a me francamente non piace) che, se non "vissuti" o non gestiti nella maniera più adatta, possono, allora si’, produrre risultati non sempre positivi. Ne va la nostra credibilità come "categoria professionale", come persone prima ancora che come professionisti.

Da segnalare: 
- alcune scene interessanti sull'attività del formatore e sull'uso di metafore in aula (quella per descrivere il cambiamento è molto efficace per "impatto” sullo spettatore/partecipante);
- uno stile di formazione “algido”, nel complesso poco empatico (che a volte mi ha fatto venire in mente il George Clooney di “Tra le nuvole”);
- il brano musicale che accompagna l'ultima scena del film, ossia una rivisitazione in chiave jazzistica di "E se domani", grande successo di Mina;
- una bella poesia di Antonia Pozzi sul "domani", che riporto di seguito…
Se chiudo gli occhi a pensare 
quale sarà il mio domani
vedo una larga strada 
che sale
dal cuore d’una città sconosciuta
verso gli alberi alti
d’un antico giardino.

Un film che in qualche modo non è solo “Il mio domani” (inteso come percorso della protagonista), ma è un po’ come se fosse anche il "nostro domani", quello dei formatori, suo nostro ruolo in un contesto che cambia di continuo e gli aspetti etici legati ad esso. Perchè praticare il cambiamento e viverlo, oltre che parlarne, si può… siamo pronti per farlo?

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