lunedì 3 novembre 2014

Mediatori e competenze specifiche (di Carola Colombo)

Torno ad “ospitare” nel mio blog questo bel contributo dell’amica e collega Carola Colombo. 

Uno spunto di riflessione molto interessante su quali siano le “competenze” che rendono il mediatore “efficace”… in un momento in cui mi sembra  che il dibattito sia concentrato soprattutto intorno alle c.d. competenze “giuridiche”…

Grazie Carola :)

MEDIATORI E COMPETENZE SPECIFICHE
di Carola Colombo

È importante che il mediatore sia competente nella materia oggetto della disputa? [1]

Si tratta di un tema sempre attuale quando si parla di mediazione civile e commerciale e ancora molto legato alla professione “originaria” del mediatore. In attesa di una generazione di mediatori propriamente detti, cioè che usciranno dall’università con un curriculum studiorum da mediatore, cerchiamo di fare i conti con la realtà fatta di professionisti in varie discipline che hanno trovato nella mediazione un interesse e/o un’opportunità lavorativa. Quindi non solo avvocati ma anche commercialisti, geometri, architetti, psicologi e così via.

Conosciamo le due scuole di pensiero: quella purista che si richiama alla funzione di facilitatore del mediatore, e quella più pragmatica che vede nel mediatore un soggetto coinvolto nella costruzione dell’accordo. A sostegno di entrambi gli orientamenti ci sono valide argomentazioni anche se, per quanto mi riguarda e in relazione all’esperienza che ho maturato, propendo per la prima. Considero l’obbligo della presenza dei legali nelle mediazioni obbligatorie un regalo che il legislatore mi ha fatto, vale a dire la libertà di non dovermi occupare delle questioni giuridiche soprattutto in relazione alla legittimità degli accordi. Anche se è difficile definire il perimetro della responsabilità del mediatore da questo punto di vista, il senso del dovere spinge a vigilare, per quanto possibile, le parti quando non assistite da un consulente [2].

Ciò che vorrei fare ora non è sostenere una scuola di pensiero a discapito dell’altra, né definire un buono e un cattivo. Mi piacerebbe, invece, provare ad analizzare la questione alla luce del personalissimo approccio che ciascun mediatore utilizza e che rende ogni mediazione irripetibile nel suo divenire. In assenza di un rito da rispettare e protetto dalla riservatezza come fosse liquido amniotico, il mediatore porta se stesso nella procedura: competente o improvvisato, autentico o bluffatore, presente o distratto. Comunque sia, nudo davanti alle parti. Tuttavia, anche se tutti i mediatori fossero come desideriamo, cioè competenti, autentici e presenti, essi si offrirebbero alla mediazione in modo diverso.

L’elemento che a mio giudizio incide di più nel definire l’orientamento del mediatore a proposito delle competenze necessarie per svolgere la mediazione civile e commerciale, è il tipo di preparazione che egli possiede e come l’ha fatta propria declinandola in base ai propri valori, alle proprie convinzioni, o semplicemente al proprio modo d’essere. Carattere e formazione ricevuta sono elementi fortemente connessi e reciprocamente condizionanti. Fatto salvo il “corso base” che rappresenta l’imprinting per il neofita che si avvicina alla materia e può non possedere sufficienti dati per scegliere quello più accordato per sé, tutta la formazione successiva viene scelta tenendo in gran conto le proprie inclinazioni oltre che le proprie curiosità. Intendo dire che, se il corso base ha smosso nel discente un vivo interesse per materie come la comunicazione o la gestione dei conflitti, egli facilmente cercherà nel futuro corsi più approfonditi su questi temi rispetto ad un'altra persona appassionata di diritto, la quale con ogni probabilità si orienterà verso questo campo.

È il bagaglio che portiamo con noi, perché è parte di noi, che disegna il mediatore che siamo e, quindi, anche come la pensiamo sul tipo di competenze da possedere. Il mediatore dotato di sufficiente autostima farà riferimento a se stesso quando penserà alla competenza minima necessaria.

Alla luce di questo ragionamento, possiamo fare un distinguo sul focus su cui si concentra ciascun mediatore durante la procedura, seppur piuttosto grossolano: da un lato le “persone” e dall’altro il “merito”. Sappiamo che nella dotazione di base del piccolo mediatore è compreso il testo “L’arte del negoziato”, l’arancia e il motto: morbidi con le persone e duri col problema. Tuttavia, applicare per quanto possibile la negoziazione win-win stimolando la cooperazione tra le parti per la ricerca del potenziale integrativo, non significa necessariamente concentrarsi sulle “persone”. Molto spesso ci si sofferma un po’ su di loro solo perché è funzionale all’individuazione dei reali interessi importanti per arricchire il tavolo negoziale. Il momento negoziale rappresenta per alcuni mediatori il momento più importante della procedura e tendono a farne parte in maniera attiva; non necessariamente con un approccio valutativo ma facilmente propositivo. Sto parlando dei casi in cui il focus è sul merito.

I mediatori che prediligono focalizzarsi sulle persone, come ad esempio succede nella mediazione trasformativa ma non solo, tendono ad essere più attivi nella fase della procedura che precede la negoziazione occupandosi delle parti senza altre finalità se non quelle di lavorare sulla loro relazione. L’obiettivo è fare in modo che possano riappropriarsi degli strumenti di cui sono già dotati ma che hanno momentaneamente smarrito, per risolvere in autonomia la loro disputa. Con questa modalità, il mediatore ha un ruolo di tutt’altro spessore nella negoziazione.

Possiamo, quindi, dire che la conoscenza della materia oggetto della controversia è tanto più importante quanto più il mediatore partecipa alla costruzione di un possibile accordo. Questa necessità si ridimensiona se il focus è sulle persone poiché, in questo caso, sono altre le competenze richieste: comunicazione e gestione dei conflitti come macro aree, all’interno delle quali troviamo numerose e vastissime tecniche relazionali. Dalle più conosciute e applicate come l’ascolto attivo empatico e l’utilizzo delle domande a quelle più sofisticate come possono essere, a mero titolo di esemplificazione, la Programmazione Neuro Linguistica e l’Enneagramma.

Lavorare in modalità “merito” può essere una scelta del mediatore che l’adotta come stile personale esclusivo ovvero la utilizza in determinati casi a lui affidati. Pensiamo alla mediazione per una controversia tra due grandi aziende a cui partecipano dei manager, in cui l’aspetto relazionale tra i due con grande probabilità non rappresenta né “il” problema né “un” problema.
Ma potrebbe essere anche l’unica modalità in cui egli è in grado di lavorare. Concentrarsi sulle persone richiede competenze che vanno aldilà della formazione e dell’aggiornamento richiesto al mediatore per legge. Si tratta di percorsi di studio che si discostano parecchio da quelli afferenti la professione d’origine (eccezion fatta per gli psicologi): interessanti ma meno “comodi” rispetto all’approfondimento di argomenti già conosciuti.

E allora, fatte 100 le risorse necessarie per condurre una mediazione, queste saranno composte da ciò che il mediatore ha a disposizione: più le sue competenze spaziano, meno prevalente sarà l’impiego della conoscenza tecnica sulla materia oggetto della disputa, tenderei a pensare. Meno strumenti del mestiere di mediatore possiede, più avrà necessità di fare ricorso a ciò che già conosce e che si porta dietro dalla professione d’origine. O, ancora, meno esperienza ha, più si sentirà rassicurato dal suo sapere sedimentato rispetto al percorrere nuovi sentieri senza una guida.

Tornando alla domanda originaria, cioè se è importante che il mediatore sia competente nella materia oggetto della disputa, risponderei che più che importante può essere “utile”. A patto che non sia l’unico strumento o uno tra i pochi. Che sia, piuttosto, come un antipiretico portato in viaggio: ci si augura di non doverlo utilizzare.
_________________
[1] Il presente contributo ha la sola finalità di stimolare un dibattito senza mettere in discussione la validità di quanto previsto dall’art. 7, co. 5, lett. e), del D.M. 180/10 e successive modificazioni.
[2] I riferimenti alle competenze giuridiche da ritenersi o meno necessarie non riguardano la conoscenza del D. Lgs. 28/10 e del D.M. 180/10 che l’autrice ritiene fondamentali e imprescindibili per il mediatore.

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